tra autoctono ed internazionale

Il Cabernet di Atina

Nell’attuale mondo vitivinicolo capita sempre più frequentemente di imbattersi in dibattiti su vitigni autoctoni e internazionali: un argomento vasto, variegato, in cui coesistono svariati punti di vista, interessi e una vera e propria ridda di opinioni.

Premesso che numerosi approcci sono possibili, la nostra riflessione scaturisce da una prospettiva storico-scientifica.

E’ bene chiarire, in primo luogo, che un vitigno autoctono è un vitigno impiantato, allevato e vinificato nello stesso territorio da almeno 50 anni. Si tratta di una determinazione ampiamente condivisa dalla comunità scientifica, a cui si ricorre per il Cabernet di Atina, vitigno che da circa 2 secoli si colloca nel territorio della Val di Comino.

Reperti storici inequivocabili, testimonianze di tipo storico-bibliografico attestano infatti che sia stato proprio il Conte Visocchi, rampollo della nobile famiglia di Atina, a portare dalla Francia nelle nostre colline il Cabernet.

Occorre poi ricordare che i nostri nonni, narrando del vino, si riferivano inequivocabilmene al loro “Tabernet”.
E’ la stessa Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino che, attraverso il Codice Internazionale delle Pratiche Enologiche, definisce le analisi chimiche, fisiche e sensoriali, strumenti di rilevazione di differenze geografiche (Metodi di riconoscimento delle forme – Pattern recognition methods), attestate da diversi composti chimici nei vini. In alcuni casi i risultati conducono addirittura ad una manifesta “differenziazione intraregionale”, ossia ad evidenti diversità tra vini ottenuti da appezzamenti distanti almeno qualche decina di chilometri.

Non si può fare riferimento al vitigno quale unico parametro a cui ricorrere per identificare un vino; altri, complementari e altrettanto fondamentali componenti, come il territorio, il paesaggio, il clima e il suolo, concorrono congiuntamente all’elaborazione del prodotto finale e del suo successo. E’ vero che sono gli aromi varietali, quelli legati indissolubilmente alle caratteristiche intrinseche del vitigno a demarcare la distinguibilità universale di un determinato prodotto, a renderlo cioè riconoscibile in ogni luogo; ma è altrettanto vero che la tipicità legata al terroir* è sicuramente portatrice di un complesso di elementi unici, ritrovabili per una serie di motivi di diversa natura in un solo luogo. Ciò non comporta la discriminazione tra terroir e terroir ma semplicemente la loro distinzione, dal momento che alcune peculiarità non potranno mai essere riprodotte altrove. 

In conclusione si può dunque affermare che il punto di partenza di questa riflessione è il dibattito sulla contrapposizione Autoctono-Internazionale, ma il centro di interesse è rappresentato non solo dalla diversità del Cabernet di Atina, ma anche dalla sua tipicità, qualità e nobiltà. E’ innegabile, infatti, che il Cabernet di Atina dia “nobile” per le qualità del vitigno, del clima e del suolo, ma anche per la sua originalità, fondata indubbiamente sulla dimensione storica.

In ultima analisi si può affermare che non è l’oggetto ad essere globale, bensì la strategia, la condivisione delle regole e dell’immagine di ciò che si produce: è nella definizione delle regole di viticoltura sostenibile, della sua eticità e di piani d’azione collettivi, che si può determinare il successo, anche internazionale, dei nostri prodotti.

Ciro Calabrese e Daniela Fontanella

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